Avv. Desi Bruno - 15 aprile 2022
A fronte del continuo aumento delle morti in carcere pochi si sentono di rifiutare la litania della necessità di aumentare le risorse destinate ai penitenziari, dato di per sé incontestabile ma di certo non sufficiente.
È ben vero che qualunque legge, soprattutto se in gran parte positiva, come l’ordinamento penitenziario vigente, necessità di strumenti efficaci di attuazione. Il ricorso alle misure alternative sconta la carenza di lavoro, di abitazioni, l’irrisolto tema dell’immigrazione, la carenza di organici anche e a volte soprattutto nella magistratura di sorveglianza, nei ruoli degli operatori penitenziari (medici, educatori, agenti, per es.), i tempi della giustizia, ecc.
Da decenni lo diciamo in tanti. Ma certo è che continua ad imperare l’idea del carcere come strumento necessario di sanzione principale. E così restano le preclusioni normative alle misure alternative, il sovraffollamento, l’inutilità del tempo trascorso nel nulla, almeno ancora per tanti. Aumenta il disagio psichico, dentro i luoghi di reclusione, anche tra gli operatori, come purtroppo anche fuori.
E così si susseguono commissioni ad hoc, i cui componenti esprimono il meglio della cultura in ambito penitenziario, ma che devono ripartire dagli Stati generali dell’esecuzione penale del Ministro Orlando, meritevole sforzo di cambiamento normativo quanto infruttuosa operazione di studio e predisposizione di progetti di cambiamento.
Il carcere, nonostante i cambiamenti effettuati, anche per gli interventi della Corte Costituzionale, resta lì, attraversato e martoriato anche dalla pandemia, sconosciuto a molti, anche tra i legislatori. La presenza ormai da anni di figure di garanzia di monitoraggio delle condizioni di vita detentive non ha sortito ancora del tutto l’effetto sperato ed è un sistema alla ricerca di una fisionomia che metta insieme autonomia, indipendenza, competenza, uniformità di intervento in sintonia con la figura del garante nazionale.
Il grande progetto della ministra di giustizia di inserire davvero la mediazione penale nel nostro sistema sconta l’assenza di un diverso approccio valoriale della comunità. Il carcere come ed extrema ratio, utilizzabile di fronte ad un reale pericolo di reiterazione di condotte violente, efferate, oggi spesso concentrate contro le donne, resta un’utopia. La riduzione della custodia cautelare in fase di indagine, pur in parte avvenuta, ha bisogno di uno sforzo culturale e di coraggio. Ha bisogno di una nuova cultura della giurisdizione e della pena. Vedremo se la stagione dei referendum rilancerà queste battaglie, tra cui da quello della separazione delle carriere, fondamenta di un processo più giusto. Intanto la carenza di organici, a qualunque livello, diventa la panacea di tutte le disfunzioni per chi nulla vuole cambiare, ed un dramma per chi davvero ha a cuore questi temi.
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